Rugby. Vittorio Munari, intervista “mondiale”

Vittorio Munari con David Campese, tanti anni fa.



Alberto Zuccato

La prima edizione dei mondiali di rugby si è disputata nel 1987. Vittorio Munari non faceva il commento tecnico. Lo ha fatto in tutte le altre, ossia dal 1991, al 2011. Vent’anni di fila. Ma da Londra non sentiremo i “munarismi”, perché i mondiali sono un’esclusiva di Sky e Vittorio ora commenta per Dmax.

“Però vado lo stesso in Inghilterra, e andrò a vedere parecchie partite”.

Non ci credo che vai a fare solo lo spettatore.

“Vero. Vado per le cene e per parlare”.

Parlare ti riesce bene…

“Ci sono aziende che fissano appuntamenti coi giocatori più famosi, per questo o quel prodotto o per altri motivi e io chiacchiero, medio. Sono cose che si fanno ovunque, tranne che in Italia. Fa parte del mio lavoro. Tra gli altri ci sarà anche David Campese”.

Chi sono le tue favorite?

“In testa a tutti gli All Blacks, è perfino ovvio. Però in un mondiale basta un nulla per cambiare le cose, ed è bene ricordare che in Europa la Nuova Zelanda non ha mai vinto un titolo. Inoltre la grande attesa che c’è nei loro confronti, l’impatto mediatico che hanno, può diventare pesante. Oltre a loro ci sono tre-quattro squadre che possono vincere, ossia Sudafrica e Australia, le altre due grandi dell’emisfero Sud, e Francia e Inghilterra. La Francia è arrivata tre volte seconda; quattro anni fa è stata sconfitta per 8-7 dagli All Blacks. Vuoi che prima o poi non riesca a vincere un mondiale? Le altre tre che ho citato hanno già vinto, hanno già questa attitudine. Come outsider vedo Galles e Irlanda”.

Inserendo nel tuo elenco Francia e Irlanda, tagli in partenza le gambe all’Italia che le affronta nel girone di qualificazione.

“Mai come quest’anno l’Italia ha poche possibilità di passare il primo turno. Spero di sbagliarmi, naturalmente, ma nel ranking mondiale l’Irlanda è sesta e la Francia settima, mentre noi siamo quattordicesimi. Il rugby è uno sport dove non si bara: vince sempre il più forte, come nella boxe”.

Scusami, ma di boxe ne so più di te e non vince sempre il più forte.

“Ripeto: mi auguro di sbagliarmi. E’ vero che negli sport di squadra è successo più volte che l’Italia, quando non è favorita, riesce a dare il meglio, a tirar fuori un orgoglio smisurato, cosa che del resto ci caratterizza un po’ in tutto. Speriamo accada anche stavolta, ma da un punto di vista puramente tecnico, mantengo i miei dubbi. Anche perché la nostra squadra è un po’ corta…”.

Spiegati meglio.

“Per andare avanti in una competizione dura come questa, è obbligatorio avere dei cambi all’altezza dei titolari e non mi pare sia la situazione degli azzurri: nei due test premondiali in cui non ha giocato Sergio Parisse, la sua mancanza si è sentita troppo e temo si avvertirà anche domenica con la Francia. Tutte le squadre hanno degli infortunati, ma quelle forti non ne risentono più di tanto. Per arrivare fino ai fondo in un torneo come questo, bisogna vincere sette partite, serve una grande rosa. Noi non possiamo averla per un motivo molto semplice”.

Quale?

“Non abbiamo una base abbastanza forte. Nonostante tutto quello che si crede e nonostante l’accresciuta popolarità del rugby, il numero dei tesserati aumenta molto lentamente. Poi ci sono anche altre questioni, ma non voglio fare polemiche”.

Questa è una novità: tu che non fai polemiche!

“Non faccio neppure le telecronache, come cambiano le cose, vero?”.

Dì la verità: ti spiace non stare al microfono.

“No. Ho fatto una scelta precisa. Va bene così. Comunque gli amici di Sky sono tutti bravi”.

Tra loro c’è il comune amico Federico Fusetti.

“Che è molto competente. Sono stato io a proporlo a suo tempo a Sky. Spero gli facciamo commentare le partite più importanti. Mi tornano in mente le prime volte…”.

In che modo hai iniziato?
“Casualmente e mai avrei pensato che poteva diventare una parte del mio lavoro”.

La parte che ti ha reso famoso al grande pubblico, grazie alla tue verve.

“Sì, quando la gente mi ferma è sopratutto per via delle telecronache. Ho cercato di spiegare il rugby con semplicità e allegria”.

Creando i “munarismi”.

“La fantasia per fortuna non mi manca. Raccontare il rugby in televisione è diventata una cosa importante. E anche bella. La più bella tra tutte quello che ho fatto, seconda solo ad allenare”.

Il Petrarca.

“Certo: allenare il Petrarca. Esperienza fantastica. E anche vincente. Meglio di così”.

Torniamo ai mondiali.

“Vorrei dire un paio di cosette”-

Accomodati.

“Il professionismo ha modificato molti aspetti del rugby di cui si parla poco. A partire dallo spirito:quello genuino in cui al termine di una gara si era tutti amici, è rimasto solo nel rugby amatoriale e anche tra gli spettatori, grazie al cielo, ma ad alto livello non c’è più. E vogliamo o no, parlare del doping?”.

Parliamone.

“Perchè quando si dice doping tutti pensano al ciclismo o all’atletica. Io mi faccio delle domande. Vedo dei ragazzi alti come me…”.

Bè, forse un po’ di più…

“Ancora con ‘sta storia della mia statura! D’accordo: più di me, ma non dei giganti. Passa un anno e li ritrovo che pesano venti chili di più. Solo palestra e allenamento? Fatico a crederlo…”.

Avevi detto che non intendevi fare polemiche.

“Smetto subito allora, ma rimango sul tema del professionismo. I giocatori sono fisicamente più forti e veloci rispetto a una volta. E la tattica è esasperata. Si vedono tante partite bloccate con le difese che prevalgono sugli attacchi. A quel punto il risultato può essere deciso da un fischio, a volta sbagliato, dell’arbitro. E questo non va bene perchè i protagonisti dovrebbero essere i giocatori. C’è ancora per fortuna quel rispetto per le decisioni arbitrali che evita il generarsi di polemiche o peggio”.

Un altro che è più o meno della tua statura, Dan Peteson, dice sempre che il bravo attaccante ha sempre la meglio sul bravo difensore.

“Ha ragione:è vero anche nel rugby e non solo nel basket. Il punto è che i grandi attaccanti scarseggiano, li ha solo la Nuova Zelanda. Il Sudafrica che è la mia seconda favorita in questa rassegna iridata, ha meno talento e si basa principalmente sulla forza della difesa. E’ un dato di fatto, non una mia teoria”.

Per cui sei tra quelli che, sotto sotto, rimpiange il rugby ante professionismo.

“Non ho detto questo. Certo però che i vecchi giocatori avevano una miglior manualità. Non erano potenti e veloci, ma conoscevano i fondamentali perchè in allenamento si pensava più a quelli che alla preparazione fisica”.

Ad allenare la tua terza favorita, l’Australia, c’è Michael Cheika, che tu avevi portato al Petrarca.

“Era un debuttante, ma già molto preparato. Non ha ottenuto i risultati che ci si aspettava, ma non c’è stata la pazienza di aspettarlo, perchè questo è un Paese di settimini, tutti hanno sempre fretta e non mi tolgo dal mazzo. Poi ha fatto una grande carriera in Inghilterra e ora è meritatamente sulla panchina dei Wallabies”.

Insomma: chi vince i mondiali?

“Nel rugby vince sempre il più forte. L’ho già detto”.